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Un Racconto a Colori

di ALDO DE FRANCESCO
Atelier De Francesco 2Presentare se stessi non è facile, anzi è molto, molto difficile, anche e soprattutto per chi, come me, ha dimestichezza con le parole, anzi è “fabbricatore” di parole. A volte, però, diventa necessario farlo, per dire direttamente quello che si è: aprirsi senza lo scudo protettivo, talvolta anche insincero e spesso occasionale, di un prefatore.

Questa è la volta giusta per farlo: illustrarvi brevemente le ragioni della mia pittura. Un insieme di paesaggi raccolti e fissati nel corso degli anni, riconducibili a un “immaginario impressionista e figurativo”, narrato in molti miei scritti e poi, via via, anche dipinto. Così mio, da non riuscire a farlo comunicare o raccontare da altri.

Se esiste – ed esiste – l’immaginario letterario, fatto di riferimenti legati a luoghi, ambienti, figure e rappresentazioni mitizzate da racconti, narrazioni, affabulazioni; altrettanto, ritengo, debba intendersi e potersi fare anche per l’immaginario pittorico – impressionista e figurativo – rappresentato da un’infinita varietà di paesaggi, di luoghi, di sensazioni legati ai propri personalissimi percorsi. Questo parallelismo nasce anche dal riscontro con talune valutazioni crociane sull’unità dell’arte e comunque del bello.

Attraverso questo approccio può capirsi, nel senso meno convenzionale, il mondo da me rappresentato, che riflette la mia esistenza, ne sottolinea momenti particolari, e su ogni altra cosa, fa emergere il mio rapporto contemplativo con la natura da fantastica pienezza di sentimenti e da indescrivibile condizione dello spirito. Di qui una pittura, che mi appartiene totalmente per un vissuto da inesausto racconto dell’anima, in cui s’affollano precise e molteplici identità: il paese delle radici, con il suo folklore – segnatamente la “Festabarocca”, fusione di antichi riti agrari con i fasti vicereali e le suggestioni barocche – poi Napoli, la città dell’impegno giornalistico e culturale, il mito, la sirena, il canto e l’incanto, le costiere sorrentina e amalfitana dei “blitz” evocativi e ritempranti, le isole nella loro infinita gradevolezza, i luoghi sognati del Belpaese e della mondanità estiva.
Tutto ciò all’occhio disattento, alla domanda pretenziosa e saccente può apparire una logora traccia di manierismo, conoscendo però l’arte, per averla “letta, studiata e approfondita” da autodidatta, anche nel confronto, senza timori o sudditanza, con importanti artisti, incontrati nella mia lunga e intesa attività di giornalista, sento solo di poter dire che ogni scena, ogni paesaggio mi danno la sensazione di viverci dentro. Quanto basta per sentirmi pago e nuovamente assetato di luce e di colori, alla maniera con cui tempo addietro, lo diceva per sé e per quelli che la pensano come lui, il grande Gillo Dorfles, un riferimento sovrano e ineguagliabile nel mondo dell’arte: “La mia pittura – scriveva – trae la sua ragione d’essere, com’è ovvio, da intima necessità di manifestare, attraverso un mezzo espressivo a me congeniale, le immagini che affiorano alla mia mente: in altre parole di visualizzare le più urgenti espressioni consce e inconsce che mi si affaccino. Per questa ragione, la mia pittura è sempre orientata secondo modulo grafico plastico, lontano da ogni razionalità o costruttivismo”. A ciascuno, quindi, il suo immaginario.